S. CIPRIANO MARTIRE

20 NovembreGuglia transetto nord-G104
Città di cui è il patrono (patrocinio): Emblema:

Questa statua, posta sul transetto nord della Cattedrale, rappresenta un uomo assorto nei suoi pensieri. Senza attributi, è difficile comprendere quale Cipriano della tradizione cristiana sia. Forse è il santo medico calabrese, nato a Reggio tra il 1100 e il 1120. In giovane età, però, dopo pochi anni di esercizio, abbandona la professione per entrare nell’abazia greca del S.mo Salvatore di Calomeno, nell’arcidiocesi di Reggio. Fino al 1011, anno della fondazione della Badia di Cava dei Tirreni, vicino Salerno, l’Italia meridionale era cristiana e di rito greco. Nelle splendide chiese di origine bizantine, mosaicate in oro e adorne di Cristi Pantocratori, è visibile questo particolare passato, come a Monreale e a Lecce. Con la Badia arrivavano i primi monaci di rito romano, formatisi a Cluny, in Francia, e che pian piano avrebbero sostituito non solo il rito greco, ma anche la lingua greca, che era ancora parlata in Calabria, Sicilia orientale e Salento. Cipriano si dà alla dura vita dell’ascetismo, fatta di privazioni, mortificazioni e di dieta frugale. Anni di sacrificio lo premiano diventando abate di Calamizzi, dove a proprie spese restaura e abbellisce la chiesa, e si prodiga per la popolazione usando il suo sapere medico, curando non solo le persone del luogo, ma anche i pellegrini che dalla Calabria e dalla Sicilia accorrono per chiedergli aiuto. Morirà il 20 novembre del 1190, quando l’Italia meridionale, scacciati Bizantini, Longobardi e Arabi, finiva sotto l’egida dei Normanni, dando vita a quel regno che durerà, in modo incredibilmente omogeneo, fino all’Unità d’Italia. Cipriano nasce e muore in un momento cruciale per l’Italia del sud. Essa, cambiando rito e lingua, entrava ufficialmente nella sfera d’influenza occidentale, abbandonando Costantinopoli. Presto i popoli del Nord, come Longobardi, Normanni, Svevi sarebbero succeduti sui diversi troni, aggiungendo accenti e tradizioni diverse, stratificandosi in una cultura magmatica e viva. Ancora oggi, nell’interno calabrese e salentino, è possibile, girando nei centri rurali, imbattersi in anziani che parlano il “griko”, ciò che resta del greco dell’ Italia bizantina. In questa lingua vi sono eco degli Spartani di Taranto, dei Corinzi di Siracusa, degli Achei di Sibari, dei Calcidesi di Cuma e di Reggio. Vi era anche la parola confortatrice di Cipriano, la sua opera di aiuto. Sotto i poteri e le culture che cambiavano, Cipriano fu santo di passaggio, collante per gli ultimi, al di là di ogni barriera linguistica.